Le elezioni nazionali del 2018, che avevano reso possibile la nascita del governo gialloverde, sono uno sbiadito ricordo. Un declino inesorabile ha ridotto la Lega di Salvini e il M5S a puri cespugli insignificanti. Le tornate elettorali che si sono susseguite (nazionali, europee, regionali) hanno sancito una lenta e costante evaporazione delle due formazioni.
Nel mondo calcistico, quando una squadra va male, si allontana l’allenatore: tale consuetudine era applicata alla politica nella prima repubblica, ma per Salvini e Conte questa regola non vale. Resistono e si ritengono CID Campeador, mentre in realtà sono condottieri privi di truppe. Vi è fra i due una differenza sostanziale: il leghista può contare ancora sulla personalità politica e sulla capacità amministrativa di sindaci e governatori, il grillino non può contare su niente, solo sul suo ego smisurato.
Ambedue sono affetti da vanità patologica e da una forma di narcisismo intollerabile; ritengono che l’olimpo sia la loro casa, ma soprattutto sono privi di ars politica e delle caratteristiche che Max Weber ritiene fondamentali per un uomo pubblico. Sbraitano e argomentano su tutto senza perseguire un obiettivo reale, solamente per apparire e per sentirsi protagonisti. Salvini viene da una scuola politica e ha dissipato un portato storico con le sue esternazioni e la sua intemperanza, Conte viene dal nulla: è un prodotto creato dal mago di Oz, duttile come la plastilina e capace di metamorfosi continue. I due soggetti sono stati ormai giudicati dagli elettori e pagano l’incompetenza e il cinismo politico resosi evidente e non più tollerato. Il loro futuro non appare luminoso e per questo farebbero cosa gradita, per il bene di chi ancora crede nei partiti che guidano, a mettersi da parte. Ma una decisione simile non appartiene al loro temperamento perchè illusi di essere veri statisti.
Diego Celi