La nuova Stagione del Vittorio Emanuele, tutto quello che c’è da sapere

Michele Bruno

La nuova Stagione del Vittorio Emanuele, tutto quello che c’è da sapere

domenica 06 Novembre 2022 - 11:11

Parte la nuova stagione del Vittorio Emanuele, Presentata Sabato alla presenza del Presidente dell’Ente Teatro Orazio Miloro, del sovrintendente Gianfranco Scoglio, del consigliere Giuseppe Ministeri, del Sindaco Federico Basile.

Una stagione con importanti nomi come Amii Stuart, Giampiero Ingrassia, Tosca d’Aquino, Francesco Pannofino, IaIa Forte, Gianfranco Iannuzzo, Barbara De Rossi, Nancy Brilli, Chiara Noschese, Ambra Angiolini, Paolo Ruffini e Massimo Ghini, Paolo Genovese, Sergio Castellitto, Lucia Lavia.

Tra i temi centrali di quest’anno, secondo il sovrintendente, la crisi della nostra società di oggi e il nuovo ruolo delle donne. Gli obiettivi: far tornare i giovani a Teatro, con il ritorno delle Scuole al mattino, ed ovviamente far crescere gli abbonati.

Appunto il coinvolgimento dei giovani, con la nuova veste grafica realizzata da studenti del Liceo Artistico Basile, presente infatti anche la dirigente scolastica Caterina Celesti.

Poi c’è il nodo Direttori artistici, che al momento non ci sono.

“Secondo la normativa regionale non possiamo nominarli prima del 2023. C’è un divieto ai contratti per assistenza tecnica e consulenza. Dunque eravamo ad un bivio – ha spiegato Miloro. – Abbiamo allora deciso di continuare sul lavoro già impostato dai direttori Simona Celi Zanetti e Pappalardo, l’alternativa sarebbe stata non fare la stagione”.

“La delibera – chiarisce – è già stata esitata”.

Tra le altre scadenze prossime c’è quella del bando per il prossimo sovrintendente, tra 3 giorni. A Dicembre termineranno invece i lavori di ristrutturazione.

Tra le opere teatrali più interessanti che andranno in scena, di sicuro Scatola – Ossessioni da riporto.

L’opera mette in scena la tragedia di un uomo (l’attore messinese Elio Crifò) e la sua visione “apocalittica” del mondo, un’analisi critica disillusa e disincantata, la realtà di un modernismo che fagocita la sua essenza. Protagonista di un monologo “surreale”, “in un atteggiamento di contemplazione della realtà”, si mette a nudo rivelando la paura “del mondo e nel mondo”.


Liberamente ispirata al celebre film “The Wall” di Alan Parker, prodotta dalla Fondazione Taormina Arte per la regia di Valerio Vella, racconta, attraverso la “sperimentazione” dialogica del protagonista con sé stesso, il fallimento della modernità (rappresentata dall’immagine della “spazzatura che avvelena il mondo”) e della globalizzazione della società odierna (costituita da “androidi burattini”) abbrutita dal consumismo imperialistico, dall’incomunicabilità e dalla prevaricazione, trasfigurata in una realtà nella quale la follia sembra essere l’unica risposta possibile. 

Il tutto si alterna tra il monologo, la musica dei Pink Floyd realizzata dalla giovane The Box Rock Band, le coreografie della compagnia Marvan Dance.

Amori e Sapori nelle Cucine del Gattopardo, con D’Aquino e Ingrassia, riprendendo come cornice l’opera di Tomasi di Lampedusa, ci fa chiedere cosa accade nelle cucine di Palazzo Ponteleone mentre si consuma il famoso ballo narrato nell’opera.

Volano le portate, si azzuffano i cuochi, si tirano padelle ma soprattutto si svelano amori impensabili, crudeli e meravigliosi conditi da tutti quei santi e profani profumi tipici della cucina siciliana.


Tra succulenti litigi, ricatti, ironia, sarcasmo e umorismo attraverso lo scontro di Teresa e Monsù Gaston. Uno invidioso dell’altra, non si accontentano di gareggiare nel preparare i piatti migliori, ma vogliono avere anche l’esclusiva delle attenzioni di Don Fabrizio. Insomma, un po’ di gossip dal passato.

Mine Vaganti di Ferzan Ozpetek, con Pannofino e Iaia Forte, adattamento teatrale del lavoro cinematografico del grande regista, alla sua prima teatrale. Un lavoro che per sottrazioni necessarie dall’originale lasciando l’essenziale intrigante, attraente, umoristico. 

Protagonista la famiglia Cantone, proprietaria di un grosso pastificio, con le sue radicate tradizioni culturali alto borghesi e un padre desideroso di lasciare in eredità la direzione dell’azienda ai due figli. Tutto precipita quando uno dei due si dichiara omosessuale, battendo sul tempo il minore tornato da Roma proprio per aprirsi ai suoi cari e vivere nella verità.

Un’opera in cui gli attori coinvolgono con dinamicità gli spettatori, spesso muovendosi per la platea come in una piazza.

Come tu mi vuoi, con Lucia Lavia e la regia di Luca Fusco, adattamento di una delle opere meno note di Luigi Pirandello, in una versione più cinematografica che teatrale, che rimanda ai noir anni ’40. Si incentra nella ricerca personale di Fusco delle opere meno trattate di Pirandello.

Lisistrata, che porta in scena Amanda Sandrelli nei panni della protagonista, con il suo sguardo che ci osserva dal lontano 411 a.c., scuotendo la testa sconsolata di fronte alle tragedie, alle miserie e ai disastri provocati dalla stupidità, arroganza, vanità e superficialità umana. Grazie alla riscrittura del testo da parte di Ugo Chiti e alla sua capacità d’interpretare la classicità con occhio contemporaneo e insieme rispettoso dell’originale, questa Lisistrata ha un meccanismo teatrale modernissimo, una specie di farsa in cui si ride molto, ma che in maniera paradossale e umanissima ci fa scoprire senza falso pudore, tra sghignazzi e continui doppi sensi, i meccanismi perversi dell’irragionevolezza umana. Lo fa additando senza ipocrisia, con un linguaggio diretto e divertente, i vizi, le perversione, il malcostume, la corruzione, le debolezze che ci portano da millenni a ritenere la violenza l’unico mezzo per risolvere i conflitti, per appianare le liti.

Il Padre della Sposa con Iannuzzo e De Rossi, una commedia familiare che tratta la storia di Agostino, un imprenditore e padre di famiglia che oltre a possedere un’azienda ha una bella figlia ventiduenne che sta per convolare a nozze, figlia a cui vuole molto bene e di cui è molto geloso.
La ragazza sta per sposare Edo ,rampollo di una ricca famiglia, ma l’imminente matrimonio con annessi caotici preparativi avranno un effetto straniante sul povero padre, che in cuor suo non vuole accettare il fatto che la figlia sia ormai una donna e il solo pensiero di lasciare l’adorata fanciulla nelle mani di uno sconosciuto lo fa dar di matto.
A peggiorare le cose ci si metterà il prezzo esorbitante del matrimonio che costerà all’uomo una piccola fortuna.

Il Nodo, con Ambra, Arianna Scommegna, e la regia di Serena Sinigaglia è ambientato in una classe di prima media della scuola pubblica di Lake Forest, piccolo centro abitato nei dintorni di Chicago. Ma attenzione: il “dove” non è importante, importante è  il “quando” e soprattutto il “perché”.


Quali sono le responsabilità educative dei genitori e quali quelle delle istituzioni nei confronti dei figli? Di chi è la colpa se i nostri figli si trasformano in vittime o carnefici? Com’è possibile che si possa scatenare una violenza tale da indurre un ragazzo o una ragazza ad uccidersi? Dove sbagliamo? Chi sbaglia? Di chi è la responsabilità?


“Il nodo” non è semplicemente un testo teatrale sul bullismo (il che, comunque, basterebbe a renderlo assolutamente attuale e necessario), è soprattutto un confronto senza veli sulle ragioni intime che lo generano. Osa porsi le domande assolute come accade nelle tragedie greche, cerca le cause e non gli effetti.


Oggi abbiamo le piattaforme digitali per raccontare storie, per denunciare fatti e azioni rilevanti. Dunque a cosa serve nello specifico il teatro? Serve a mettere a nudo, nella sintesi e nell’intensità che lo contraddistinguono, le più profonde contraddizioni dell’uomo,  le ragioni ultime del   suo agire.
Heather Clark e Corryn Fell non sono solo l’insegnante e la madre di Gidion. Il loro conflitto, come quello tra Medea e Giasone, tra Dioniso e Penteo, tra Eteocle e Polinice, racchiude in sé tutti noi come singoli individui e tutti noi come società. E ci pone di fronte alle nostre responsabilità: per ogni ragazzo ferito, umiliato, ma anche per chi umilia e ferisce, siamo noi ad essere sconfitti, come individui e come società, nostra è la responsabilità, nostra è la pena e il dolore.


La madre e l’insegnante di Gidion combattono per salvare se stesse dal baratro  della  colpa e  forse per cercare un senso ad una morte tanto orribile. Nel frastuono e nel clamore della loro battaglia non si accorgono che solo una voce resta muta e lontana: quella del figlio.

Manola di Margaret Mazzantini, regia di Leo Muscato, con Brilli e Noschese, tratta il dramma di due sorelle gemelle in contrasto tra loro, come due pianeti opposti nello stesso emisfero emotivo. Anemone, sensuale e irriverente, che aderisce ad ogni dettaglio della vita con vigoroso entusiasmo, e il suo opposto Ortensia, uccello notturno, irsuta e rabbiosa creatura in cerca di una perenne rivincita. Le due per un gioco scenico si rivolgono alla stessa terapeuta dell’occulto e svuotano il serbatoio di un amore solido come l’odio. Ed è come carburante che si incendia provocando fiamme teatrali ustionanti, sotto una grandinata di risate. In realtà la Manola del titolo, perennemente invocata dalle due sorelle, interlocutore mitico e invisibile, non è altro che la quarta parete teatrale sfondata dal fiume di parole che Anemone e Ortensia rivolgono alla loro squinternata coscienza attraverso un girotondo di specchi, evocazioni, malintesi, rivalse canzonatorie. Una maratona impudica e commovente, che svela l’intimità femminile in tutte le sue scaglie. Come serpenti storditi le due finiranno per fare la muta e infilarsi nella pelle dell’altra, sbagliando per l’ennesima volta tutto. Perché un equivoco perenne le insegue nell’inadeguatezza dei loro ruoli esistenziali. Un   testo sfrenato che prevede due interpreti formidabili per una prova circense senza rete. Ma che invoca l’umano in ogni sua singola cellula teatrale.

Andando alle opere comiche, troviamo la prima del cartellone con Max Angioni  comico emergente, reduce dai successi di Italia’s Got Talent, Zelig, Le Iene e Lol2, in Miracolato, prodotto da Vera Srl e Paolo Ruffini.

Una sferzante ironia anima i monologhi incorniciati nella scena minimalista, in cui Max racconta un condensato delle proprie esperienze: dalle conversazioni ai tempi dei social, alla sua relazione con lo sport, alla maledizione di arrivare secondo. Tra interazioni con il pubblico e incursioni del suo folle personaggio, Kevin Scannamanna, il talento del giovane comico offre uno sguardo originale ed esilarante sulla realtà quotidiana. La verve tipica della Stand-up Comedy accompagna, con ritmo serrato, i diversi quadri del racconto, in cui Max torna a stupire con il tema dei miracoli, con cui è diventato celebre. Miracolato perché rispolvera avvenimenti epici – come quelli descritti nel Vangelo, con il personaggio di Gesù – e li rielabora in una chiave comica ed eccentrica. Miracolato perché Max è stato protagonista di un’escalation di successi nell’ultimo anno, che lo hanno fatto sentire così fortunato, da provare a immaginare nuovi miracoli moderni. La comicità diventa uno strumento, divertente ed inaspettato, per rendere accessibili argomenti apparentemente troppo sacri per concedersi all’ironia, e per divulgare le storie più antiche del mondo, filtrandole attraverso una lente leggera e brillante.

Quasi amici, trasposizione teatrale di Alberto Ferrari dell’omonima opera cinematografica, racconta due uomini talmente diversi da costituire una teorizzazione dell’antimateria. Due particelle che potrebbero portare a un’esplosione, un annichilimento delle proprie personalità̀ e invece avviene il miracolo.
Ed è questo Miracolo laico che vorrei raccontare.
Un uomo molto agiato, ricco, molto ricco, troppo ricco, intelligente, affascinante; un uomo che vive di cultura e con la cultura vive, che si muove e conquista e soddisfa il proprio ego narcisistico con il cervello più̀ che con il corpo.
Un uomo a cui il destino ha voluto, per contrappasso, relegare a solo cervello, facendolo precipitare con il parapendio e fratturandogli la quarta vertebra cervicale e riprendendosi il corpo. Quel corpo, che era solo un bagaglio della mente, ora nell’assenza, diventa il fantasma di un’identità̀ da inseguire e recuperare.
E un altro uomo che entra ed esce di galera, sin da ragazzino, svelto, con una sua intelligenza vivace e una cultura fatta sulla strada e nei film di serie b, che ha visto. Ma decisamente smart. Un uomo che preferisce porre il suo corpo avanti a tutto e lasciare il cervello quieto nelle retrovie. Un corpo che, da subito, ha cercato di farsi strada nelle periferie degradate, in cui un’incertezza diventa come in natura, essenziale per determinare il proprio posto nella catena alimentare. Un predatore che in realtà̀ è una preda delle proprie debolezze.
Un uomo che si è privato della carica del cervello che avrebbe potuto essere per lui determinante.
Questi due uomini si incontrano per un caso e questo caso farà̀ sì che diventino uno per l’altro indissolubili, l’uno indispensabile alla vita dell’altro e lenitivo alla ferità fatale che ognuno ha dentro di sé.
Non lo sanno ma loro possiedono un dono che ognuno può̀ donare all’altro: la leggerezza.

Una compagnia di pazzi, scritto da Antonio Grosso, con Antonello Pascale, Francesco Nannarelli, Gioele Rotini, Gaspare di Stefano, mette in scena un manicomio quasi dismesso, dove sono rimasti soltanto 3 pazzi, gestito da due fratelli, Armando e Francesco che con tanta pazienza e amore si prendono cura del loro pazienti: il direttore del manicomio un uomo duro e senza un minimo di umanità.
L’amicizia fra gli infermieri e i loro pazienti oramai regna sovrana, il tempo passa fra “giochi”, sfottò e vari momenti di ilarità e comicità.
Uno dei pazienti, scopre una cassaforte nell’ufficio del direttore.
I 5 inizieranno un piano per aprire la cassaforte, rubare il “malloppo” e fuggire via verso una nuova vita! 

Zorro, un eremita sul marciapiede di Margaret Mazzantini con Sergio Castellitto e regia di Sergio Castellitto.

Così l’opera è descritta dalla stessa Mazzantini:

“Stanno sul margine del grande fiume, intenti come pescatori in attesa. Pescano nel nostro vortice quello che rimane, quello che schizza via, che gli appartiene per diritto. Hanno quegli odori concentrati, essenza d’uomo, come mosto, come seccume marino, roba sfinita dal sole o roba che fa il suo corso.
Zorro mi ha aiutato a stanare un timore che da qualche parte appartiene a tutti. Perché dentro ognuno di noi, inconfessata, incappucciata, c’è questa estrema possibilità: perdere improvvisamente i fili, le zavorre che ci tengono ancorati al mondo regolare. Chi di noi in una notte di strozzatura d’anima, bavero alzato sotto un portico, non ha sentito verso quel corpo, quel sacco di fagotti con un uomo dentro, una possibilità di se stesso? I barboni sono randagi scappati dalle nostre case, odorano dei nostri armadi, puzzano di ciò che non hanno, ma anche di tutto ciò che ci manca.
Perché forse ci manca quell’andare silenzioso totalmente libero, quel deambulare perplesso, magari losco, eppure così naturale, così necessario, quel fottersene del tempo meteorologico e di quello irreversibile dell’orologio. Chi di noi non ha sentito il desiderio di accasciarsi per strada, come marionetta, gambe larghe sull’asfalto, testa reclinata sul guanciale di un muro? E lasciare al fiume il suo grande, impegnativo corso. Venirne fuori, venirne in pace. Tacito brandello di carne umana sul selciato dell’umanità. Perché i barboni sono come certi cani, ti guardano e vedi la tua faccia che ti sta guardando, non quella che hai addosso, magari quella che avevi da bambino, quella che hai certe volte che sei scemo e triste.
Quella faccia affamata e sparuta che avresti potuto avere se il tuo spicchio di mondo non ti avesse accolto. Perché in ogni vita ce n’è almeno un’altra”.

Paolo Genovese alla sua prima regia teatrale porta in scena l’adattamento dei suoi Prefetti Sconosciuti, con Paolo Calabresi.

Una brillante commedia sull’amicizia, sull’amore e sul tradimento, che porterà quattro coppie di amici a confrontarsi e a scoprire di essere “perfetti sconosciuti”.

“Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata ed una segreta
Un tempo quella segreta era ben protetta nell’archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre sim.
Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare?
Durante una cena, un gruppo di amici decide di fare un gioco della verità mettendo i propri cellulari sul tavolo, condividendo tra loro messaggi e telefonate.
Metteranno così a conoscenza l’un l’altro dei propri segreti più profondi…”

Infine le opere musicali, con Amii Stuart, la Tosca, Nehmiah H. Brown & Faith Gospel Choir, e il Pink Floyd Laser Show.

Qui il cartellone completo.

Qui i prezzi di biglietti e abbonamenti.


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