Alla scoperta del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di Gesso

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Alla scoperta del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di Gesso

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venerdì 13 Agosto 2021 - 09:56

Gesso, piccolo villaggio – frazione di Messina, sito fra i monti Peloritani, sul versante tirrenico, a sedici chilometri dal centro cittadino, a tre da Villafranca, offre splendidi e suggestivi panorami su Vulcano, Stromboli e Capo Milazzo, risaltando per le sue bellezze e particolarità naturalistiche, paesaggistiche, morfologiche. Il nome deriva dal greco Gypsos e dal latino Gypsum, dal nome del materiale presente in abbondanza nella zona, la cui estrazione è stata interrotta intorno agli anni Settanta del secolo scorso. È ancora oggi possibile osservare le testimonianze moderne di questa antica quanto tradizionale attività, rappresentate dalle vestigia delle fornaci e latomie, le cave a cielo aperto per l’estrazione, dislocate fra le contrade di Locanda, Pimiri, Razia, Pantalena, Crucidda e Chiarita.

In particolare, Gesso (in dialetto Ibbisu), con la sua affascinante storia millenaria, è sede del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani, un unicum del genere in tutto il panorama, non soltanto regionale, ma nazionale. Il Museo, nel quale lo scrivente ha avuto modo di operare in qualità di guida turistica/addetto all’accoglienza in occasione dell’evento “Vie dei Tesori 2019”, nasce nel 1996, fondato dall’Associazione culturale “Kiklos”, esito di numerose ricerche sul campo e rilevamenti demoetnoantropologici condotti da Mario Sarica, curatore scientifico del museo, sul territorio nord – orientale della Sicilia, tra i Peloritani e i Nebrodi; ricerche che hanno abbracciato anche alcune aree del Val Demone, comprese nelle province di Catania, Palermo, Siracusa, riguardanti, principalmente, gli usi e la pratica di strumenti musicali popolari, nei contesti contadini, tradizionali, di festa, popolari e lavorativi (etnomusicologia).

Nasce non a caso a Gesso, area “elettiva”, in quanto luogo di una secolare e affascinante tradizione musicale pastorale, che comprendeva l’uso di strumenti musicali primari e secondari (nella prima categoria rientrano, ad esempio, gli aerofoni pastorali, i flauti diritti semplici o doppi, i clarinetti semplici o doppi, zampogne a paro) utilizzati dai “pastori suonatori”. Tradizioni millenarie che affondano le proprie origini nelle antiche civiltà mediterranee che si sono avvicendate in Sicilia nel corso dei secoli, ed hanno contribuito alla sua ricca e variegata cultura.

Un motivo fondante sta alla base della nascita del Museo: il bisogno, la volontà e la necessità di preservare dall’oblio e catalogare forme di vita tradizionali, disgregate a causa dei nuovi stili e ritmi di vita, nonché degli sviluppi industriali.

Il Museo di Musica e Cultura Popolare dei Peloritani si propone di sottolineare ed evidenziare la capacità degli strumenti musicali popolari di rappresentare, raccontare e tramandare la storia, la cultura, le tradizioni ma anche la sfera dell’immaginario collettivo (nel quale si mescolano immagini del sacro e tradizioni mitiche d’età classica) delle comunità rurali e pastorali siciliane, attraverso i secoli, dal Neolitico al Novecento. E lo fa attraverso un percorso espositivo, che si snoda fra i numerosi reperti, padiglioni didattici, filmati, apparati didascalici, installazioni.  

Vastissima la collezione del Museo, contenente sia collezioni private donate sia acquisizioni dell’associazione Kiklos, che comprende diversi strumenti musicali dei pastori musicisti dei Peloritani, ma non solo: aerofoni pastorali, cordofoni, membranofoni, idiofoni, flauti, clarinetti, zampogne “a paro”, mandolini, liuti, alcuni strumenti tipici della cosiddetta “musica dei barbieri”, testimoni di poesie, culture e tradizioni del passato, ma anche del ricordo dei loro stessi creatori, pastori, artigiani, artisti, contadini, che utilizzavano materiali poveri, offerti dalla natura, per la loro resa e costruzione.

Il Museo dei Peloritani diventa così anche narrazione di un modus sostenibile di vivere e rapportarsi con la natura e le sue risorse agroalimentari, tramandando stili di vita perduti, un exemplum per eccellenza e per le future generazioni, dalla forte attualità, specie nei nostri tempi, afflitti dai cambiamenti climatici e dall’insano sfruttamento, e distruzione del territorio, della fauna, della flora ricchissima e variegata della Sicilia e della penisola italiana tutta.

Alcuni esponenti di queste antiche tradizioni musicali, oggi scomparsi, sono stati intervistati dallo stesso Sarica che ne ha raccolto le preziose testimonianze, fruibili attraverso i dispositivi multimediali del Museo (si pensi all’intervista al notissimo cantastorie Ciccio Busacca, espressione di una memoria locale che è necessario preservare per trarne ispirazione, giovamento, insegnamento).

In tal senso, per la sua interattività e multidisciplinarietà, la realtà museale dei Peloritani riesce a superare l’incapacità narrativa tipica dei Musei tradizionali, che spesso raccolgono, come in un vasto ma freddo catalogo, opere e reperti, senza un filo conduttore, le cui relazioni, con la storia, l’uomo, il territorio, e la loro stessa interpretazione, risultano insufficienti, statiche o standardizzate.

Il Museo dei Peloritani, non solo raccoglie ma racconta la storia, attraverso una comunicazione attiva, esperienziale ed emozionale fra il visitatore e il suo patrimonio, quest’ultimo esposto con accuratezza, con il supporto di studiati e approfonditi codici testuali, visivi, apparati iconografici, schede didattico-espositive, che ne favoriscono l’interazione, secondo un preciso filo conduttore, che parte dalla Musica come chiave interpretativa dello sviluppo dell’uomo, del suo relazionarsi con il territorio, della nascita di usi, costumi della società in cui vive e opera. Patrimonio di una cultura agropastorale sia materiale che immateriale, figlia delle molteplici presenze di civiltà che si sono susseguite nell’isola, dall’età arcaica all’età moderna, in una Sicilia che è stata vero centro mediterraneo di incontri e dialogo fra popoli e genti diverse. Attraverso i manufatti pastorali è quindi possibile stabilire delle connessioni di “lungo periodo”, inerenti alla società e alla vita delle comunità rurali e pastorali siciliane, dal Neolitico alle fonti classiche (Teocrito di Siracusa, il mito di Pan), dalla poesia bucolica alla musica dei pastori, tutte forme culturali che hanno modellato, in maniera preponderante, i tratti antropologici della società messinese.

Le dettagliate schede che accompagnano gli strumenti musicali descrivono i caratteri tipici degli stessi, modalità di costruzione, le occasioni d’uso, le funzioni cerimoniali (alcune delle quali ancora oggi in uso), le tecniche di accordatura: si passa dagli strumenti con funzione segnaletica, quindi usati in ambito lavorativo, a quelli tipici delle occasioni di festa popolare, come flauti, zampogne, organetti, che servivano per accompagnare il canto o fungevano da repertorio di ballo, infine ai cordofoni (violini, chitarre, mandolini) utilizzati dai “barbieri-artigiani”, ad un tempo dediti sia alla cura della barba dei clienti che maestri di musica, che erano soliti organizzarsi in piccole orchestrine incentrate sulla musica da ballo.

Il Museo raccoglie anche strumenti più arcaici, come le Trombe di conchiglia, strumenti tipici dell’ambito marinaro ma anche pastorale-contadino, con funzioni segnaletiche; strumenti come questo sono una delle diverse testimonianze museali in grado di coniugare Passato e Presente, tradizione e attualità. Ancora oggi, infatti, in occasione del Corteo Carnevalesco della Maschera dell’Orso di Saponara, che si tiene il Martedì Grasso con un vasto seguito di pubblico, le Trombe di Conchiglia vengono usate con funzione cerimoniale. Un mondo perduto, quello degli strumenti musicali agropastorali, che resiste nelle tradizioni festive popolari (insieme al canto) ma che è ormai scomparso dalla vita quotidiana, di tutti i giorni (venendo meno i contesti tipici d’uso); una storia dunque che è giusto narrare, raccontare e analizzare scientificamente, compito che il Museo svolge pienamente, con la stessa capacità del Suono – utilizzando le parole dello stesso Sarica – di “comunicare e trasferire sentimenti, emozioni, altrimenti inesprimibili con la parola”.

La capacità delle Feste Patronali di essere dei veri e propri depositi di memoria, a prescindere dall’aspetto devozionale e cristiano, è sottolineata nel Museo dalla presenza dei costumi, oggetti e abiti tipici del Carnevale, ad esempio la Maschera dell’Orso di Saponara, il completo del Suonatore della Tromba di Conchiglia, del Diavoluzzu di Savoca, utilizzato in occasione della festa patronale di Santa Lucia, e dalle figure della Settimana Santa, come il Giudeo di San Fratello, un costume che conserva tratti tra il semi-selvatico e il demoniaco, attinente alla funzione della sua figura di “disturbatore” della processione in occasione della settimana santa (il ruolo di questa figura è festeggiare la morte di Gesù Cristo, con squilli di trombe, catene e campanacci, per poi convertirsi il Venerdì Santo, partecipando alla processione e reggendo il fercolo del crocifisso).

Presenti, inoltre, reperti materiali e fotografici inerenti antiche attività di Gesso, opifici, palmenti, mulini ad acqua “arabi”, neviere, ovili, cave e fornaci per estrazione e lavorazione del gesso, tutti aspetti di un perduto e virtuoso ciclo di produzione che potremmo definire “a chilometro zero”, che oltre ad essere una preziosa testimonianza etnografica, possono costituire oggi un’occasione alternativa di ripensamento del rapporto uomo/territorio in una direzione eco-sostenibile.

Il Museo, nel suo “Giardino officinale”, ospita anche un “pagghiaru” tipico esempio di capanna pastorale dei Peloritani.

Recentemente il paese di Gesso è balzato agli onori della cronaca a seguito della notizia sulle origini familiari della first lady Jill Jacobs, moglie di John Biden: i suoi bisnonni, Gaetano Giacobbo e Domenica Scaltrito, erano entrambi ibbisoti, partiti da Gesso verso le Americhe in cerca di fortuna. Un fenomeno, questo dell’emigrazione verso gli Stati Uniti, che caratterizza il villaggio di Gesso e ne fa un caso a sé rispetto agli altri quarantotto casali peloritani: furono infatti numerosi gli ibbisoti che tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento emigrarono in America, in cerca di migliori condizioni di vita e lavorative, diretti in particolare nella rurale Hammonton, piccolo centro di Atlantic City, dove si formò una ben integrata comunità siculo-americana. Una relazione con la cittadina americana che nel Museo rivive sia nelle lettere che nei documenti e testimonianze cartacee dei discendenti degli ibissoti giunti nel villaggio peloritano alla ricerca delle proprie radici.

Attualmente il Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani è chiuso al pubblico ma non cessa la sua attività di ente work in progress, di arricchimento della propria biblioteca cartacea e digitale, dell’archivio multimediale, di ente organizzatore di laboratori, incontri con musicisti di strumenti tradizionali, mostre, seminari, mantenendo costantemente acceso il confronto e il dialogo su quelli che sono caratteri e temi fondanti della nostra stessa identità siciliana.

Auspicando una riapertura entro il mese di settembre, invito, in primis la cittadinanza messinese, a visitare il Museo e vivere un’unica esperienza formativa e coinvolgente.

Nicolò Maggio

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