Mastroeni: “Probabilmente sottostimato il numero degli infetti, non si spiegherebbero tutti questi morti in Italia”

Redazione

Mastroeni: “Probabilmente sottostimato il numero degli infetti, non si spiegherebbero tutti questi morti in Italia”

mercoledì 01 Aprile 2020 - 17:05

Lo dice lo scienziato messinese che insegna a Cambridge: “I modelli matematici dicono che la curva del contagio è destinata ad appiattirsi presto, ma tutto dipende dal senso civico delle persone”

Laurea a Messina e poi la formazione post universitaria fra Cambridge, Londra e brevemente Parigi. Pietro Mastroeni, docente a Cambridge, è uno dei quei “cervelli” che si sono affermati all’estero. Oggi è docente di “Infection and Immunity” all’Università di Cambrige dove è anche vicedirettore dell’insegnamento accademico. Una formazione fra le più importanti e prestigiose Scuole europee (Università di Cambridge, Imperial College di Londra e l’Istituto Pasteur di Parigi), e una carriera ricca di onorificenze nell’ambito della Microbiologia e Immunologia. Dall’Estero sta seguendo gli sviluppi della pandemia, che in Europa ha colpito, per il momento, maggiormente l’Italia. Il suo è un contributo che “fotografa” e analizza allo stesso tempo la contaminazione diffusa dal terribile Covid-19.

Secondo lei l’Italia e il SSN si sono fatti trovare impreparati per fronteggiare l’espandersi del Covid-19, tenuto conto che il virus è partito a fine dicembre in Cina?

Non vivo ed non opero in Italia, quindi apprendo notizie sul nostro Paese da fonti ufficiali dell’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità) e ISS (Istituto superiore della Sanità). Con il senno di poi è facile criticare. Ho l’impressione che il SSN italiano stia reagendo bene e con efficienza, viste le risorse disponibili.  Credo che la Cina fosse più pronta perché veniva dall’esperienza terrificante della SARS e più marginalmente MERS di qualche anno fa.  Detto questo mi sarei aspettato una risposta un poco più rapida da parte dell’Italia e anche da molti paesi Europei e USA, visto che l’OMS aveva già dichiarato lo stato di emergenza il 30 Gennaio 2020 e avevamo avuto il monito di altre epidemie recenti come per esempio la pandemia influenzale H1N1 del 2009. Però, a meno che non ci siano piani di emergenza già pronti a scattare operativamente, non è facile agire rapidamente. Ci si prepara alle emergenze in tempo di pace, non si prova a reagire in tempo di guerra, quando la paura e la confusione sono nemiche ulteriori da fronteggiare.

Secondo lei cosa si dovrebbe fare per essere più pronti ad emergenze simili che potrebbero ripresentarsi in futuro?

E un discorso di risorse, priorità e creazione di competenze. Ovviamente bisogna investire di più su sanità e Università. Ma è essenziale farlo bene basandosi su indici meritocratici oggettivi e certi e non facendosi guidare dalla politica. Lo si dice da decenni, ma poco si è fatto! Lo stesso vale per la ricerca; questa con le tecnologie odierne può rapidamente creare vaccini e immunoterapie. In Italia abbiamo la capacità e le competenze per essere rapidamente responsivi ad emergenze di questo tipo. Basti pensare, ad esempio il ‘vaccine hub’ internazionale del Toscana life sciences (TLS), a Siena con cui io stesso collaboro da anni. E’ però impensabile, in fase di emergenza, di dover cercare fondi per la ricerca su vaccini, immunoterapici e test diagnostici da canali di finanziamento convenzionali tramite procedure standard che sono notoriamente lunghe e complicate. Quando la bufera Covid-19 sarà passata, lo Stato Italiano dovrebbe seriamente considerare di creare uno strumento istituzionale per la ricerca di emergenza, immediatamente accessibile a gruppi di ricerca e sviluppo già identificati e scrutinati, per far partire le opportune attività con solerzia. Avere una maggiore capacità interna di ricerca, sviluppo, produzione di farmaci e diagnostica è fondamentale perché svincolerebbe il Paese dalla dipendenza assoluta dagli altri stati; inoltre costituirebbe un fatto di prestigio internazionale e avrebbe un riscontro economico notevole.

Si parla da tanto sul fatto che per essere pronti alle emergenze, e anche per migliorare la sanità in genere, bisogna formare nuovi scienziati, medici e infermieri. Il ragionamento è semplice ma e la soluzione richiederà tempo, investimenti e un improbabile cambio di mentalità. Infatti, per creare buoni professionisti della ricerca e medicina ci vogliono strutture adeguate e sempre più tecnologicamente avanzate. Bisognerebbe inoltre stabilire una massa critica di eccellenze, cercando attivamente e sperando di reclutare il meglio disponibile nel mondo, con incentivi che attraggano tali persone in Italia. Queste persone diventerebbero un fulcro attorno il quale giovani capaci e volenterosi potrebbero formarsi professionalmente. Invece in Italia si parla ancora di abilitazione e concorsi! Per la formazione di nuovi medici e infermieri, è essenziale garantire un rapporto numerico efficace tra docenti, discenti e casi clinici disponibili per l’insegnamento. Quindi sarebbe controproducente dal punto di vista qualitativo incrementare il numero di accesso alle Facoltà di Medicina se queste non venissero prima potenziate per poter migliorare la loro efficacia didattica”.  

Le misure di contenimento adottate dal suo Paese d’origine stanno dando i frutti sperati, o si doveva fare di più?

“Credo che fosse difficile fare di più dal punto di vista legislativo. I decreti del governo sono drastici e i risultati si cominciano a vedere.  La loro applicazione e soprattutto la risposta di una parte della popolazione magari sono state inizialmente non omogenee. Ma la paura spesso fa brutti scherzi.

E torniamo sempre al discorso che ci si debba preparare in tempo di pace. Questo vale anche e soprattutto per il senso civico e l’osservanza delle regole. Le faccio un esempio molto semplice ma illustrativo. Non me ne vogliate, ma quando torno a Messina e passeggio con gioia nella nostra bellissima città, non posso fare a meno di notare che pochi, usano la cintura di sicurezza alla guida (obbligatoria per legge); molti usano il cellulare in macchina e parcheggiano in zone vietate. Questo accade anche in altre parti d’Italia, ma raramente in quelle nazioni dove il controllo è più severo. Le leggi da noi non vengono fatte sempre rispettare e quindi la diseducazione civica regna sovrana e si propaga alle nuove generazioni, fatto questo gravissimo. Quindi è poi difficile chiedere a un popolo di rispettare regole e decreti in una situazione emergenziale, quando in tempi di quiete non si è costruito in loro un senso di legalità.  Allora bisogna ricorrere all’imposizione, che non dovrebbe essere necessaria, visto che siamo un grande popolo”.    

Gli esperti italiani parlano del pericolo Sud. C’è il rischio che l’esodo verso il Meridione possa scatenare una nuova emergenza. Le vede questo pericolo?

“Certo questo è possibile. Se due aree hanno un’epidemia in corso e si equivalgono per numero di casi, allora si può verosimilmente prevedere che la mobilità tra le due regioni abbia un effetto minimo. Ciò che fa la differenza più grande è il comportamento degli individui all’interno di ciascuna zona. Cioè se si mantiene il distanziamento fisico.  Se però c’è mobilità da una zona ad altissima incidenza (come alcune parti del Nord Italia) verso una zona a bassa incidenza si rischia di peggiorare le cose. Al Sud la sanità purtroppo soffre in alcune zone; non per mancanza di capacità degli operatori sanitari, ma per insufficienza di strutture e risorse. Quindi sarebbe un pericolo se i casi aumentassero oltre il livello di saturazione del SSN nel meridione. Gli amministratori del meridione, e anche quelli della nostra città, sono coscienti di ciò e cercano di arginare il pericolo, anche se non sempre con metodi e modi ortodossi o appropriati alla carica istituzionale che ricoprono”.

L’Italia conta un terzo dei decessi a livello mondiale, c’è una spiegazione scientifica oppure qualche Paese sta “nascondendo” i suoi morti?

Nessuno nasconde i propri morti. E’ vero che il numero di decessi per Covid-19 fino ad ora è più alto in Italia che in altri paesi. Si tenga però in considerazione che l’Italia è un paese con un alto numero di persone anziane e quindi a rischio; il popolo e lo Stato hanno una coscienza e conoscenza sanitaria superiore a quella di molti altri Paesi, cosa che porta all’allungamento della vita di molte persone con patologie croniche gravi. Poi bisogna anche tenere in considerazione come si registrano i decessi per Covid-19 e come si calcolano percentualmente rispetto al numero delle persone infettate. Sul primo punto dovrebbe chiedere ai colleghi di malattie infettive e terapia intensiva. Sul secondo punto, metto in evidenza uno studio matematico pubblicato da poco da colleghi dell’Imperial College di Londra; questo indica che si sottostimano enormemente il numero di infetti per Covid-19. Infatti la percentuale di mortalità dipende dal denominatore della frazione numero di morti/numero di infetti. In particolare, si stima che il numero di individui infettati sia molto superiore in Italia che in altri paesi e questo sarebbe concausa per un elevato numero cumulativo di decessi”.    

L’epidemia non sta risparmiando anche altri Paesi europei, secondo lei quale nazione non è in grado di affrontarlo?

Ogni Paese ha fatto una scelta diversa sul come e quando agire, chiaramente con conseguenze diverse. Tutti i Paesi sanno esattamente ciò che fanno perché si avvalgono di esperti. Nulla è lasciato al caso. Spero che ogni paese abbia esperti e consulenti di alto livello, anche l’Italia. Considerazioni sia etiche ed economiche dettano il modus operandi. Alcuni Paesi certamente avrebbero potuto sfruttare meglio le informazioni provenienti dall’Italia, dove l’impennata esponenziale dei casi giornalieri si è verificata prima che altrove”.

In Italia il governo ha deciso di prolungare per altre due settimane di contenimento, a suo avviso quando si potrà tornare ad una vita quasi normale?

Questa è una domanda complessa. Ci vorrà ancora tempo e pazienza. E’ difficile dire quanto, visto che ci sono variabili numericamente poco quantificabili. Secondo molti modelli matematici, mantenendo le misure restrittive attuali, la curva che rappresenta il numero di nuovi casi giornalieri in Italia dovrebbe appiattirsi presto; già sembra che si veda un effetto e questo è molto incoraggiante. Anche il numero giornaliero di decessi scenderà.  Il corso futuro dell’epidemia ovviamente dipenderà molto dalle misure prese e mantenute per appiattire la curva di contagio. Misure drastiche di distanziamento fisico allungheranno la durata dell’epidemia ma eviteranno più decessi dovuti a Covid-19. Misure meno drastiche consentiranno un picco relativamente più veloce con minore impegno per la Sanità pubblica e possibilmente maggiore sacrificio di vite umane, soprattutto anziani e persone che già soffrono di altre patologie. Bisogna anche però considerare la salute mentale della gente che i decreti attuali stanno mettendo a dura prova. Inoltre si deve anche evitare ad ogni costo che la priorità Covid-19 faccia sì che altre patologie vengano temporaneamente trascurate nel loro trattamento o negli screening di prevenzione.  Fino a quando il virus circolerà e ci sarà un numero considerevole di soggetti suscettibili nella popolazione, il rilassamento delle misure di contenimento porterebbe probabilmente ad un impennata dei contagi. E’ ovvio che la disponibilità di un vaccino efficace cambierebbe lo scenario in modo drastico”.

Davide Gambale