Operazione antimafia “Polena”: scattano 8 arresti

Redazione

Operazione antimafia “Polena”: scattano 8 arresti

giovedì 19 Luglio 2018 - 07:32

All’alba di oggi, i Carabinieri del Comando di Provinciale di Messina hanno eseguito in questa provincia e in vari istituti penitenziari del territorio nazionale, con il  supporto del 12° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Catania, un’ordinanza di custodia
cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Messina su richiesta della locale Direzione  Distrettuale Antimafia peloritana, guidata dal Procuratore Maurizio De Lucia, a carico
di 8 soggetti (7 dei quali ristretti in carcere e 1 sottoposto agli arresti domiciliari) ritenuti responsabili – a vario titolo – dei reati di associazione per delinquere di tipo  mafioso, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni e violazioni degli obblighi della
sorveglianza speciale, tutti aggravati dal metodo mafioso.
IL  PROVVEDIMENTO RESTRITTIVO
Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine,
convenzionalmente denominata “POLENA”, avviata nell’ottobre 2014 dal Nucleo  Investigativo del Comando Provinciale Carabinieri di Messina, coordinata dai  sostituti Procuratori della Repubblica Liliana Todaro e Maria Pellegrino, che ha  preso le mosse dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Santovito
Daniele, i cui esiti hanno permesso di comprovare l’operatività di una consorteria mafiosa attiva nella zona sud del capoluogo peloritano e riconducibile al detenuto
Giacomo Spartà (ininterrottamente detenuto dal 25.03.2003), capo dell’omonimo  Clan, egemone nel racket dell’usura e delle estorsioni in danno di commercianti ed
avventori di sale scommesse, i cui proventi concorrevano ad alimentare la “cassa  comune” della consorteria.
LE INDAGINI
Gli esiti dell’attività tecnica unitamente a quella svolta con metodi tradizionali poste in essere dagli investigatori dell’Arma hanno permesso di comprovare i
rapporti tra MESSINA Raimondo e gli appartenenti alla famiglia SPARTA’. Tant’è  che in una circostanza la moglie del boss, in occasione della cessazione della  semilibertà cui il MESSINA era sottoposto, si è personalmente recata,
accompagnata dai propri figli, a fargli visita presso la sua abitazione. Inoltre il  MESSINA ha manifestato in più occasioni esplicitamente il proprio rispetto verso  Antonio Spartà, fratello del detenuto (sebbene non si siano registrati, nel corso delle indagini, rapporti telefonici) incontrandosi sovente de visu con lo stesso.
L’esistenza di un gruppo mafioso stanziato nel territorio del popoloso quartiere a Sud  di Messina, denominato Santa Lucia Sopra Contesse, è riconosciuta in diversi
provvedimenti giudiziari, alcuni dei quali divenuti definitivi. Gli elementi di prova  raccolti nell’odierna indagine, hanno in sintesi evidenziato e comprovato la piena operatività del citato storico sodalizio criminale, ben strutturato e altrettanto ben  radicato nel territorio cittadino e che aveva in programma un numero indeterminato di  reati contro il patrimonio e la persona. Al vertice dello stesso vi è MESSINA
Raimondo, reggente del clan SPARTÀ unitamente a Nostro Gaetano, entrambi in  questo momento già detenuti per altra causa. L’attenzione investigativa si è  inizialmente concentrata sul predetto MESSINA e su LUCÀ Maurizio, entrambi
indicati quali uomini di fiducia di Giacomo Spartà dal collaboratore SANTOVITO  Daniele. Malgrado l’attività investigativa su LUCÀ sia stata interrotta dopo sole due
settimane – poiché lo stesso era stato tratto in arresto dai carabinieri del Nucleo  Investigativo di Messina a seguito delle risultanze dell’indagine, convenzionalmente  denominata “Alexander”, del 9.12.2014 (in quanto ritenuto responsabile di alcuni
episodi estorsivi) nonché indagato nell’operazione denominata “Copil”, del 24.02.2015 (poiché ritenuto responsabile del reato di riduzione in schiavitù di un bambino romeno), ha consentito di censire i suoi rapporti con CAMBRIA SCIMONE
Antonio e, quindi, quelli di quest’ultimo con lo stesso MESSINA Raimondo.
L’inchiesta svolta nei loro confronti ha permesso di acquisire una notevole mole di materiale probatorio a carico di tutti gli odierni indagati, consentendo di delineare il ruolo dei due promotori dell’associazione mafiosa quali terminali degli affari illeciti e dei conseguenti proventi dell’organizzazione. Infatti dalle progressioni investigative è
emerso in maniera incontrovertibile che lo stesso MESSINA, gestiva la CASSA COMUNE del gruppo, alla quale attingeva anche per il sostentamento dei detenuti e delle loro
famiglie.
La consorteria mafiosa si è costantemente dimostrata capace di interferire e di condizionare l’attività di alcuni imprenditori messinesi, non solo imponendo assunzioni di personale indicato dai sodali, ma anche imponendo loro le scelte
imprenditoriali. In particolare, è stato accertato nel corso dell’inchiesta come, al  fine di eliminare del tutto la concorrenza al bar “il Veliero”, riconducibile a Saro Messina, un pasticcere sia stato obbligato ad interrompere la vendita di bibite e
caffè all’interno alla propria pasticceria, adiacente al citato bar, poiché, a giudizio degli odierni indagati, sarebbe stato responsabile di un calo degli introiti. In un
ulteriore episodio, un imprenditore attivo nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari, è stato costretto con violenza e minaccia ad interrompere le forniture di carne e lavorati di macelleria ad alcuni ristoranti cittadini per favorire
la nascente attività di macelleria di uno degli indagati.
Altra fonte di intromissione nel normale svolgimento dell’attività imprenditoriale felle vittime è stata individuata nell’acclarata consuetudine di imporre l’assunzione
presso i loro esercizi commerciali, di parenti e conoscenti degli indagati, oltre che di impedirne il licenziamento.