Treni Blues in Sicilia, Grasso (Azione): “La rete ferroviaria è nazionale, le responsabilità anche: basta alibi”

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Treni Blues in Sicilia, Grasso (Azione): “La rete ferroviaria è nazionale, le responsabilità anche: basta alibi”

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martedì 30 Dicembre 2025 - 16:32

Il caso dei treni Blues in Sicilia continua a far discutere e, secondo Letterio Grasso, presidente provinciale di Azione Messina, rappresenta molto più di un semplice errore tecnico o di una sfortunata incompatibilità tra convogli moderni e infrastrutture obsolete. È, piuttosto, la fotografia di un fallimento sistemico, che chiama in causa responsabilità precise a livello nazionale.

«C’è un modo semplice per capire la vicenda dei treni Blues in Sicilia ed è partire da una verità che in Italia dà sempre fastidio: le ferrovie non sono un fatto folkloristico, ma un sistema giuridico e industriale iper-regolato, dove nulla dovrebbe accadere “per caso”. Un treno non è un elettrodomestico che si compra e poi si prova a casa. È un mezzo di trasporto pubblico che nasce già “localizzato”, cioè progettato, acquistato e autorizzato in funzione delle linee su cui dovrà circolare».

Secondo Grasso, parlare oggi di incompatibilità come se fosse una scoperta tardiva è profondamente fuorviante:

«Questo vale ovunque, ma vale ancora di più in territori complessi come la Sicilia, dove curve strette, raggi ridotti, armamenti vetusti e tratti non elettrificati sono dati noti da decenni e per questo è fuorviante dire che “si è scoperto dopo” che i Blues non erano compatibili con molte tratte. La compatibilità non è una sorpresa, è un presupposto giuridico dell’immissione in servizio».

Per il presidente provinciale di Azione, la narrazione che riduce tutto a una questione di arretratezza del Sud è un alibi:

«L’acquisto dei treni Blues per la Sicilia, inutilizzabili sulla linea ferrata obsoleta dell’isola, non è l’ennesimo capitolo del romanzo nazionale sull’arretratezza infrastrutturale del Sud. È qualcosa di più serio e, proprio per questo, più inquietante: un fallimento sistemico, prodotto da una catena di decisioni tecniche, amministrative e politiche che non ha funzionato come avrebbe dovuto».

E aggiunge:

«Raccontarla come una “sfortuna” o come l’inevitabile scontro tra tecnologia avanzata e binari ottocenteschi è un errore concettuale prima ancora che politico. Perché il sistema ferroviario italiano non è un insieme casuale di soggetti, ma una macchina giuridica e tecnica rigidamente regolata, in cui ciascun attore ha compiti precisi e responsabilità definite. Se la macchina si inceppa, non è colpa del destino: qualcuno ha sbagliato, o ha omesso».

Grasso smonta quello che definisce il riflesso condizionato nazionale:

«I treni Blues arrivano in Sicilia come simbolo di modernità: bimodali, nuovi, costosi, tecnologicamente avanzati. Peccato che, una volta messi sui binari, quei binari comincino a consumarsi più del dovuto, le ruote pure, le linee si chiudono, i servizi saltano e la modernità finisce su un pullman sostitutivo. A questo punto, come sempre, parte il riflesso condizionato nazionale: “la Sicilia è arretrata”. Fine dell’analisi. Ma è proprio qui che bisogna fermarsi».

Il punto centrale, per Grasso, è giuridico prima che politico:

«La rete ferroviaria siciliana non è della Regione Siciliana. Fa parte della rete ferroviaria nazionale ed è gestita da RFI – Rete Ferroviaria Italiana, società del gruppo FS, concessionaria dello Stato. Questo non è un dettaglio tecnico, è il fondamento giuridico dell’intera vicenda».

Da qui discende una responsabilità precisa:

«RFI ha l’obbligo di garantire che la rete sia sicura, compatibile e adeguata al servizio autorizzato. I treni Blues sono stati autorizzati a circolare sulla rete siciliana. Conclusione: se la rete non era compatibile, RFI lo sapeva o doveva saperlo prima. Non dopo».

E chiarisce:

«Se una rete resta obsoleta per decenni, non è colpa del destino cinico e baro, ma di una programmazione nazionale che ha scelto di investire altrove. Questo è il primo punto che ribalta la narrazione: non è la Sicilia a essere “in ritardo”, è lo Stato ad averla lasciata indietro».

Anche la Regione Siciliana, però, non è esente da responsabilità politiche:

«La Regione è l’acquirente dei treni, sì. Ma acquistare treni non significa rifare i binari. Pretendere che la Regione rifacesse la rete è come accusare un inquilino di non aver consolidato le fondamenta del palazzo. Ma quando si acquistano treni per centinaia di milioni, si ha il dovere politico e amministrativo di pretendere garanzie formali sulla loro effettiva utilizzabilità».

Sul ruolo di Trenitalia, Grasso è netto:

«Trenitalia non gestisce la rete, ma partecipa con la sua competenza tecnica alla definizione delle specifiche di esercizio. Se era evidente che determinate linee presentavano criticità strutturali, aveva il dovere di segnalarle e di non presentare l’immissione in servizio come priva di problemi».

Il cuore della questione resta però nelle certificazioni:

«Se esistono atti che attestano l’idoneità dei convogli Blues a circolare su determinate tratte siciliane e se questa idoneità si rivela nei fatti insussistente o fortemente limitata, allora la domanda non è politica, ma giuridica: su cosa si basavano quelle attestazioni?».

E qui Grasso elenca scenari tutt’altro che rassicuranti:

«O le verifiche non sono state fatte, o sono state fatte male, o sono state fatte correttamente ma ignorate. In tutti i casi, non stiamo parlando di complotti, ma di atti amministrativi. Carta, firme, responsabilità personali».

Infine, l’affondo conclusivo:

«Alla fine, la vicenda Blues non è la storia di treni sbagliati su binari vecchi. È la storia di uno Stato che ha autorizzato ciò che non era pronto, di una catena decisionale che ha preferito l’annuncio alla realtà, il taglio del nastro alla verifica preventiva».

E l’avvertimento finale:

«I treni si possono fermare, le linee si possono chiudere. Ma quando le istituzioni cominciano a viaggiare a vista, il rischio non è il ritardo: è il deragliamento della responsabilità».

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