La Corte dei Conti ha motivato la sua decisione di negare il visto di legittimità al progetto definitivo del Ponte sullo Stretto e di non registrare la delibera approvata dal CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile). I rilievi dei magistrati contabili sono focalizzati su tre grandi temi: ambiente e sostenibilità, norme sugli appalti e contratti, aspetti economico-finanziari e tariffari.
1. Ambiente: violata la direttiva europea su habitat e naturaIl primo grave problema riguarda la tutela ambientale
Il Ponte, secondo la Corte, viola la Direttiva 92/43/CE sulla conservazione degli habitat naturali e seminaturali. Il Governo — per giustificare l’opera nonostante il parere negativo della procedura di valutazione ambientale VIA-VAS — aveva invocato una deroga con la procedura cosiddetta “IROPI” (Imperative Reasons of Overriding Public Interest), cioè «motivi imperativi di interesse pubblico», per superare gli ostacoli ambientali. La Corte però contesta duramente l’uso della deroga: la relazione “IROPI” risulta carente, con una istruttoria insufficiente e senza prove concrete dell’assenza di alternative all’opera.
In particolare, non sarebbe stata dimostrata la necessità dell’opera per motivi di salute pubblica, sicurezza o tutela ambientale – tutte condizioni richieste per derogare alla direttiva. In sostanza: l’impatto ambientale dell’opera non è stato adeguatamente valutato, e la scorciatoia della deroga non è stata giustificata secondo i criteri europei.
2. Appalti e contratto: modifiche sostanziali e illegittimità di gara
Un altro punto che ha pesato nella decisione riguarda le procedure di appalto e la convenzione fra Stato e concessionario. La Corte ha contestato la violazione della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici — in particolare l’articolo 72, relativo alla modifica di contratti aggiudicati. Secondo i magistrati, le modifiche rispetto al contratto originario sono sostanziali: si è passati da un modello di finanziamento in parte garantito dai mercati e da privati, a un finanziamento interamente pubblico.
Altre variazioni criticate: cambiamenti negli indici di aggiornamento del corrispettivo per l’impresa, riduzione della quota di prefinanziamento da parte del contraente generale (dal 15% previsto in gara al 5% attuale), mutamenti tali da rendere necessaria una nuova gara competitiva, anziché semplici modifiche a un contratto già aggiudicato.
In pratica, la convenzione aggiornata emerge come un nuovo contratto mascherato da variante, incompatibile con le normative europee sugli appalti.
3. Piano economico, costi e tariffe: troppi punti oscuri
Infine, la Corte critica il piano finanziario e tariffario su cui si basa il progetto. Il piano presentato non ha ricevuto il parere obbligatorio dell’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), elemento previsto per le infrastrutture soggette a pedaggio. Le tariffe proposte sono basate su stime di traffico non consolidate, senza adeguate verifiche o simulazioni realistiche: ciò rende il piano economico-finanziario troppo aleatorio e vulnerabile ai rischi di sotto-utilizzo o perdite.
Inoltre, gli aumenti di costo complessivi dell’opera non sono stati spiegati con analisi oggettive: manca un’illustrazione credibile di come le maggiorazioni siano dovute a inflazione o revisione tecnica. Secondo la Corte, l’operazione risulta quindi incompatibile con il diritto comunitario. In sintesi: la sostenibilità economica dell’opera non è dimostrata, e il pedaggio — base del recupero investimenti — poggia su ipotesi fragili.
Cosa succede ora e reazioni
Il no della Corte blocca al momento la registrazione della delibera CIPESS e la conseguente convenzione tra Stato e concessionario. Senza questi atti, l’opera non può partire.
Il Governo, però, non molla: il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e i vertici della società concessionaria hanno annunciato che stanno già studiando come correggere i rilievi e proporre un progetto in grado di superare le obiezioni.
Da più parti — ambientalisti e comitati “No Ponte” — la decisione è accolta come un risultato importante: la Corte conferma che non basta l’interesse economico o strategico per giustificare un’opera se l’impatto ambientale e la trasparenza amministrativa non sono garantiti.

