di Giuseppe Palamara – Ponte Live / MessinaOggi
Il dibattito sul Ponte sullo Stretto è tornato prepotentemente al centro della discussione pubblica. A Messina, come in Sicilia e Calabria, nelle ultime settimane la mobilitazione dei comitati contrari all’opera ha riaperto un confronto che si protrae da decenni. Il corteo del 29, annunciato da varie realtà No Ponte, è solo l’ultimo capitolo di una lunga storia nella quale le opinioni favorevoli e contrarie si intrecciano con questioni economiche, culturali, politiche, ambientali e perfino storiche.
In questo contesto, è fondamentale chiarire alcuni aspetti che spesso vengono semplificati o travisati, e farlo con il rigore necessario affinché la discussione rimanga civile, documentata e rispettosa di ogni posizione. Al tempo stesso, è doveroso spiegare perché chi sostiene il Ponte consideri l’opera non solo utile, ma strategica per il futuro del Sud, e perché alcune narrazioni contrarie – anche quando non intenzionalmente tali – finiscano per favorire dinamiche che, sul lungo periodo, penalizzano il Mezzogiorno.
1. Le motivazioni profonde del fronte pro-Ponte
Chi sostiene il Ponte ormai da anni parte da un assunto semplice: l’opera rappresenta un salto infrastrutturale senza precedenti per il Meridione. Significa:
- connettere finalmente la Sicilia alla rete ferroviaria europea;
- garantire continuità territoriale reale, non simbolica;
- ridurre drasticamente tempi di viaggio e costi logistici;
- aumentare la competitività delle imprese del Sud;
- creare migliaia di posti di lavoro durante i cantieri e nell’indotto;
- valorizzare porti, retroporti, ZES e collegamenti TEN-T.
Per molti siciliani e calabresi, il Ponte non è solo un’infrastruttura: è una rivendicazione di dignità, un diritto negato per generazioni.
2. La percezione di un dualismo Nord-Sud che accompagna la storia del Ponte
Nel dibattito pubblico, una parte dei sostenitori dell’opera interpreta le opposizioni al Ponte all’interno di un fenomeno storico più ampio: la tendenza, conscia o inconscia, a dirottare investimenti pubblici prevalentemente verso territori già sviluppati, anziché verso quelli che avrebbero maggiore bisogno di infrastrutture.
Quando nel 2006 e nel 2011 i governi Prodi e Monti interruppero l’iter del Ponte, molti cittadini del Sud interpretarono la scelta come l’ennesimo segnale che le grandi opere potevano esistere ovunque tranne che in Sicilia e Calabria. Questo sentimento è ancora vivo e riemerge ogni volta che si verificano nuove battute d’arresto.
È importante chiarire: Non si tratta di accusare i manifestanti No Ponte di “razzismo” in senso giuridico o sociologico.
Ciò che molti sostenitori dell’opera intendono dire è che le conseguenze oggettive di alcune scelte politiche hanno, nel tempo, generato disuguaglianze infrastrutturali territoriali. Questa percezione, radicata e documentata nei dati storici degli investimenti pubblici, viene letta da larga parte della popolazione come una forma di discriminazione geografica che lascia il Sud indietro.
In altre parole: non si accusa nessuno di atti o intenzioni discriminatorie; si descrive un effetto sistemico vissuto come tale dalla cittadinanza.
3. Il nodo criminalità organizzata: la posizione del fronte pro-Ponte
Uno dei punti più delicati riguarda la questione mafiosa. È fondamentale affrontarlo con chiarezza e responsabilità.
Dire che “i No Ponte sono mafiosi” sarebbe non solo errato, ma anche ingiusto e giuridicamente irresponsabile. Nessuno nel fronte pro-Ponte sostiene questo in modo serio o documentato.
Quello che invece molti analisti, studiosi e osservatori sottolineano da anni è un punto diverso: la criminalità organizzata prospera nei contesti di povertà, isolamento e assenza di infrastrutture.
Le mafie traggono potere da:
- territori economicamente stagnanti;
- cittadini sfiduciati;
- assenza dello Stato percepita;
- carenza di opportunità occupazionali.
La tesi, molto diffusa nel mondo accademico e nei rapporti istituzionali, è che lo sviluppo, la modernizzazione e la presenza dello Stato indeboliscono la criminalità organizzata.
In questa visione pro-Ponte, ciò che si afferma non è che “chi è contrario è mafioso”, bensì che la mafia, strutturalmente, trae vantaggio da territori fermi, poveri e bloccati.
E poiché il Ponte rappresenta un investimento epocale, con ricadute economiche e sociali, molti ritengono che favorisca il contrasto alla criminalità organizzata, non il contrario. Si tratta di una lettura sociologica, non di un’accusa personale.
4. Le conseguenze socio-economiche dell’immobilismo: il tema dei giovani
Il terzo punto oggetto della nostra riflessione riguarda l’emigrazione giovanile.
Ogni anno circa 35.000 giovani siciliani lasciano l’isola per cercare lavoro altrove. Questo dato, noto e drammatico, rappresenta forse la ferita più grande per la Sicilia e per tutto il Sud.
Nella versione dura e spontanea del discorso popolare, qualcuno potrebbe dire che “chi ostacola lo sviluppo uccide le speranze dei giovani”. Come giornale, è nostro dovere trasformare questa frase in analisi strutturale, non in un’accusa.
Il significato è infatti chiaro: Ogni ritardo nelle infrastrutture, ogni stop allo sviluppo, ogni scelta che non aumenta le opportunità locali contribuisce a un contesto nel quale i giovani trovano meno futuro. È una dinamica sistemica, non un’accusa alle persone.
Il Ponte, inserito in una strategia multimodale nazionale e europea, è visto da molti come un segnale concreto di inversione di tendenza: un’opera che può trattenere talenti, attrarre investimenti, dare lavoro e restituire fiducia.
Non si parla di “assassini” nel senso letterale o giuridico: si parla del rischio reale di spegnere speranze, opportunità e prospettive. Ed è questo il senso che va trasmesso in modo corretto e professionale.
5. Perché il Ponte è un simbolo oltre che un’infrastruttura
Il Ponte non è solo un’opera ingegneristica.
È un simbolo identitario per milioni di cittadini del Sud. È la promessa che:
- la Sicilia non sia più percepita come un’isola isolata;
- il Sud non debba attendere decenni per ciò che altrove è normale;
- esista una strategia di sviluppo che guarda al Mediterraneo come centro, non periferia;
- finalmente lo Stato investa nel Mezzogiorno con la stessa determinazione con cui ha investito in altre macro-aree.
Per questo, ogni opposizione all’opera — anche quando motivata da ragioni ambientali o tecniche — viene a volte percepita, da una parte della popolazione, come un rifiuto del futuro stesso.
6. Il corteo del 29: rispetto per tutte le opinioni, ma chiarezza sugli effetti
Il corteo No Ponte del 29 rappresenta una manifestazione legittima di dissenso. Il diritto alla protesta è sacrosanto. Ma è altrettanto legittimo chiedersi quali siano gli effetti concreti del bloccare un’opera che potrebbe ridisegnare l’economia del Sud.
E molti cittadini ritengono che prolungare l’immobilismo infrastrutturale significhi:
- rinunciare a investimenti già stanziati;
- perdere competitività nel Mediterraneo;
- indebolire il mercato del lavoro locale;
- rafforzare, indirettamente e involontariamente, quelle condizioni di stagnazione che favoriscono sfiducia, emigrazione e disagio sociale.
Ecco perché il fronte pro-Ponte non vede nella protesta un semplice dissenso, ma una scelta che può avere conseguenze pesanti per intere generazioni.
7. Conclusione: il Ponte come scelta morale, oltre che economica
A conti fatti, il sostegno al Ponte è molto più di un orientamento politico.
È una posizione che guarda:
- all’equità territoriale;
- allo sviluppo economico;
- al futuro dei giovani;
- al riscatto del Sud;
- al superamento di un isolamento storico che ha frenato una delle regioni più ricche di potenzialità al mondo.
Rispettando tutte le opinioni, riconoscendo la legittimità di ogni sensibilità, è giusto però dire con chiarezza ciò che molti siciliani e calabresi sentono nel profondo: non costruire il Ponte significa accettare che il Sud resti indietro ancora una volta. E questa, per molti, è una scelta che non può più essere tollerata.

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