In Italia si parla spesso di inclusione scolastica, ma troppo spesso quella parola resta imprigionata nei documenti ministeriali, mentre nella realtà quotidiana accadono episodi che raccontano tutt’altro. Uno di questi riguarda un bambino di nove anni, con diagnosi di autismo grave e crisi comportamentali, seguito privatamente dalla dott.ssa Mafalda Sparolo, che ha deciso di denunciare pubblicamente la gestione del caso.
Durante l’ultimo GLO – Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione, convocato per definire il percorso educativo del minore, la professionista ha appreso con “sgomento” la decisione della scuola: il bambino sarebbe stato tenuto in un’aula separata, da solo, per “tutelare la sicurezza di tutti”. Una scelta che, secondo quanto riferito, prevedrebbe addirittura la possibilità di contattare il 118 in caso di crisi comportamentale.
Un quadro che la dott.ssa Sparolo definisce inaccettabile:
“Ho ascoltato, ho provato a spiegare, ho cercato di aprire un dialogo costruttivo. Ma il confronto è presto degenerato. Il GLO si è concluso in malo modo, tra chiusure, giustificazioni e nessuna reale volontà di costruire un piano educativo inclusivo.”
Di fronte alla rigidità della posizione scolastica, la professionista ha scelto di ritirarsi dal GLO, rifiutando di avallare ciò che considera una deviazione profonda dai principi educativi e terapeutici.
“Di fronte a una posizione tanto rigida e in contrasto con ogni principio educativo e terapeutico, ho scelto di interrompere la mia partecipazione, impossibilitata a condividere o avallare un approccio che considero profondamente discriminante. Perché questo non è un progetto educativo: è una forma di esclusione istituzionalizzata.”

“Non si tutela un bambino isolandolo”
Le parole della dott.ssa Sparolo sono dure e chiamano in causa l’intero sistema scuola:
“Non si tutela un bambino isolandolo. Non si protegge una comunità scolastica allontanando chi è più fragile. L’autismo non è una minaccia da contenere, ma una condizione che richiede comprensione, formazione e sostegno.”
Il problema, sottolinea, è strutturale: docenti poco formati, mancanza di figure specializzate, strumenti insufficienti, scarsa preparazione nell’affrontare comportamenti complessi. Paura e impreparazione diventano così terreno fertile per scelte drastiche che finiscono per penalizzare chi avrebbe più bisogno di essere incluso.
“Per paura di ‘non farcela’, si sceglie la via più semplice e più crudele: l’esclusione.”
Una scuola che non riesce a reggere la complessità
Il caso non è un episodio isolato. Episodi simili avvengono ogni giorno in molte scuole italiane, spesso lontano dai riflettori. Le parole della professionista lo confermano:
“Finché un bambino verrà chiuso in un’aula da solo, finché la paura sostituirà la competenza, l’inclusione resterà solo un’etichetta ipocrita.”
E proprio qui la denuncia assume una dimensione più ampia: non basta compilare piani educativi, servono azioni concrete. Sono necessari:team multidisciplinari reali, formazione permanente, supporto psicologico per insegnanti e famiglie, strumenti adeguati, collaborazione continua tra scuola, servizi sanitari e professionisti.
Solo così la scuola potrà realmente accogliere e non selezionare.
Una riflessione che riguarda tutti
La conclusione della dott.ssa Sparolo è un richiamo forte alle responsabilità degli adulti:
“L’inclusione non può essere una parola da brochure. Noi adulti – insegnanti, terapisti, dirigenti, genitori – avremo fallito la nostra più grande missione: insegnare che la diversità non è un problema da isolare, ma una ricchezza da accogliere.”
Il caso del bambino isolato in un’aula separata diventa così il simbolo di un sistema che, troppo spesso, non è all’altezza della sua promessa: essere una scuola pubblica, inclusiva, per tutti. Una promessa che rimane ancora, drammaticamente, sulla soglia.

