Arcigay su presunte dichiarazioni omofobe di Gangemi: "Vicenda risolta"

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Arcigay su presunte dichiarazioni omofobe di Gangemi: "Vicenda risolta"

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lunedì 18 Gennaio 2021 - 11:15

“Prendiamo atto delle parole del sindacalista Gianluca Gangemi e della forza del rammarico che egli esprime nel vedersi associato all’omofobia in seguito al post con cui rispondeva a un comunicato stampa di oppositori del sindaco De Luca che contestavano la disparità di trattamento nella concessione della piazza. Tra questi un collettivo queer. In particolare, è stata la citazione sciasciana di ‘pigliainculo’, adoperata da Gangemi, a risaltare e determinare un intervento di Arcigay. Se la pronta e accorata reazione del sindacalista Gangemi ci fa molto piacere e ci induce dunque a considerare risolta la vicenda, vorremmo comunque impiegare l’incidente come pretesto per osservare il modo in cui parole e concetti sessisti e omotransfobici operino da automatismi e da risorse culturali continuamente mobilitate dal linguaggio e pronte a essere impiegate nelle dispute”. Lo dichiara l’Arcigay Makwan Messina tornando sulla vicenda delle presunte dichiarazioni omofobe di Gianluca Gangemi della Fiadel. Dunque, vicenda risolta per l’Arcigay, anche se, a detta dell’associazione, esiste a livello culturale un chiaro problema del linguaggio.
“A tale riguardo è indicativo che le parole, magistrali ma trasudanti quella visione maschilista propria del tempo in cui furono scritte, oltre che propria degli ambienti descritti sessant’anni orsono da Sciascia (sono parole, non a caso, messe in bocca al mafioso Don Mariano Arena) risultino ancora oggi suggestive e impiegabili senza filtri. Tutto questo, peraltro, in un contesto politico e civile che vede una delle controparti di questa disputa caratterizzata proprio da una sessualità non conforme alla norma dominante e per questo discriminata e in lotta, tanto contro le prevaricazioni che la riguardano così come verso tutte le altre, legate alla classe, alla nazionalità ecc.
“Quello che questo incidente dovrebbe insegnare alla cittadinanza, dunque, è di ripensare profondamente questi automatismi culturali e porsi seriamente il problema del linguaggio. E non perché questo debba essere ‘politicamente corretto’, ossia ipocrita ed eufemistico, ma perché è proprio attraverso la lingua che gli stereotipi e la violenza si riproducono e legittimano”.