Continuano le segnalazioni da parte dei nostri lettori residenti all’estero circa la loro esperienza che stanno vivendo fuori dai confini italiani in occasione dell’emergenza coronavirus. Dopo Vicenzo, messinese residente in Svezia da due anni e mezzo, anche Sergio Fucile ha deciso di raccontarci la sua storia. Sergio è infatti un nostro concittadino che undici anni fa ha deciso di trasferirsi in Australia, e in particolare a Melbourne, capitale dello stato del Victoria. Lì si è fatto una propria vita, mettendo su famiglia, composta attualmente da moglie e tre bambini, e fondando la Oztudy, agenzia di migration and education.
Contestualizzando innanzitutto quanto sta accadendo in questi giorni nella terra dei koala e dei canguri, che ad oggi conta più di 3.000 casi positivi al covid-19 e una decina di morti circa, domenica scorsa il premier australiano Scott Morrison ha introdotto le prime misure per contenere la diffusione del coronavirus, sospendendo i viaggi non essenziali tra gli stati australiani e chiudendo alcune delle principali attività in cui si registrano assembramenti di persone (quali ad esempio pub, cinema e palestre). Sergio ci spiega che si tratta di misure che, pur tendendo al modello italiano, al momento sono ben lungi dall’essere equiparabili alle stringenti restrizioni adottate in Italia: “Purtroppo il lockdown vero e proprio non è ancora iniziato. Il primo ministro Scott Morrison ha sì introdotto diverse restrizioni, chiudendo fondamentalmente le attività non essenziali (negozi e ristoranti in primis), ma in ogni caso non è stato imposto un blocco totale all’interno dal paese. Basti pensare ad esempio che Morrison non ha deciso di chiudere le scuole dell’infanzia, in quanto se dovessero essere chiuse si rischierebbe che il 30% del personale paramedico e ospedaliero sia costretto a rimanere in casa per badare ai propri figli. E ancora: la maggior parte delle persone che si recano al supermercato o vanno al parco, pur essendo formalmente vietati gli assembramenti, continua a non rispettare le distanze minime di sicurezza per contenere il verificarsi di nuovi contagi e in genere le autorità non intervengono al riguardo. Intanto molte persone hanno sempre più paura ad uscire di casa, anche perché il virus si sta diffondendo a macchia d’olio dalle nostre parti. Al riguardo una fetta sempre più grande dell’opinione pubblica australiana sta facendo pressioni al primo ministro affinché anche l’Australia vada in lockdown. Personalmente temo che nei prossimi giorni la situazione possa soltanto peggiorare”.
Alla domanda se fosse stato discriminato dagli australiani in quanto temevano che essendo italiano potesse contribuire nel diffondere il coronavirus nel paese, Sergio ci spiega che inizialmente in molti stavano all’erta o comunque adottavano delle misure precauzionali quando avevano a che fare non tanto con lui quanto piuttosto con gli italiani di cui si occupava con la sua agenzia: “Personalmente non sono stato discriminato, ma occupandomi di un’agenzia di migration and education ho avuto modo di notare che circa due settimane fa, quando era noto a tutti che in Italia la situazione era fuori controllo e che in Australia si registravano pochissimi casi, le persone del luogo stavano all’erta quando notavano qualcuno parlare in italiano. Inoltre, alcuni ostelli non hanno accettato le prenotazioni di ragazzi che provenivano dall’Italia. Nelle aziende alcuni datori di lavoro hanno imposto ai dipendenti italiani di mettersi in quarantena per 14 giorni. Ma in ogni caso è stata una fase transitoria, anche perché questo paese vive di immigrazione”.
Infine Sergio lancia un appello a tutti i messinesi a restare a casa: “L’appello che mi sento di mandare ai miei concittadini è di rimanere a casa e di mantenere la calma durante questa fase delicata. Bisogna cercare di limitare quanto più possibile la diffusione del coronavirus, anche perché rischia di essere altamente letale per i numerosi anziani che vivono da quelle parti. Un caloroso saluto a tutta la città, dove pur non vivendoci più da anni continua a rimanere nel mio cuore”.