Estorsione aggravata dal metodo mafioso, nuovi guai giudiziari per Spartà e Nostro

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Estorsione aggravata dal metodo mafioso, nuovi guai giudiziari per Spartà e Nostro

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sabato 15 Settembre 2018 - 12:10

La Squadra Mobile ha eseguito due ordinanze di misure cautelari in carcere, emesse il 13 settembre scorso dal Gip presso il Tribunale di Messina su richiesta della Dda di Messina, a carico di due soggetti ritenuti responsabili di estorsione pluriaggravata dal metodo mafioso e dall’appartenenza degli autori ad associazione mafiosa, per fatti compiuti dal 22 dicembre 2015 al 22 settembre 2016.
I due arrestati si trovavano già ristretti in carcere; si tratta di Antonino Spartà, 46 anni, detenuto nel carcere di Frosinone, fratello del boss Giacomo Spartà, capo indiscusso e promotore storico del clan di Santa Lucia sopra Contesse, in atto detenuto al regime di 41 bis.
Arrestato anche Gaetano Nostro (conosciuto come “Dente i zappa”), 49 anni, pluripregiudicato anche per reati di criminalità organizzata, attualmente in carcere a L’Aquila, in regime di 41bis per l’operazione “Matassa”; Nostro è considerato “luogotenente” del gruppo criminale di Santa Lucia sopra Contesse, unitamente a Raimondo Messina (inteso “Saro”).
L’ordinanza costituisce esito di attività investigativa, delegata alla Squadra Mobile di Messina dalla DDA peloritana, volta a far luce sui delicati rapporti intercorrenti tra alcuni esponenti della criminalità organizzata appartenenti al clan di Santa Lucia sopra Contesse, all’indomani della succitata operazione “Matassa”, ed un imprenditore di servizi distinto da una sintomatica “disponibilità” in ordine al soddisfacimento di richieste di lavoro provenienti dagli esponenti della criminalità organizzata.
I successivi approfondimenti investigativi permettevano di chiarire che l’imprenditore fosse effettivamente vittima di esponenti mafiosi, risultando da essi costretto – con minaccia consistita nel far valere la propria caratura criminale e l’appartenenza a posizioni apicali dell’organigramma della consorteria mafiosa messinese – ad assumere, rispettivamente,  Antonino Spartà (con mansioni di elettricista) – assicurandogli uno stipendio di circa 52 mila euro in tre anni, di gran lunga superiore al valore del lavoro effettivamente prestato (dallo stesso datore quantificato in circa 3mila euro) – nonché Gaetano Nostro, con mansioni di sorvegliante degli altri lavoratori (mansioni, peraltro, mai svolte effettivamente ancorché ritualmente retribuite).
Tale conclusione investigativa, peraltro, trovava ulteriore riscontro nelle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, secondo cui, per un verso, Antonino Spartà ricoprisse il ruolo di referente del clan fondato dal fratello detenuto Giacomo e, per altro verso, la ditta facente capo all’imprenditore risultasse sotto la “protezione” del gruppo criminale.