Operazione Hypnose. Ecco i nomi degli indagati

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Operazione Hypnose. Ecco i nomi degli indagati

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venerdì 03 Agosto 2018 - 11:17

Rapina aggravata in concorso mediante l’ipnosi delle vittime. È questo il reato di cui dovranno rispondere sei persone palermitane e bergamasche, le quali al momento sono finite in manette. Infatti, all’alba di oggi i Carabinieri del Comando provinciale messinese hanno dato esecuzione nella provincia di Messina, Palermo e Bergamo ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto su richiesta della locale Procura della Repubblica, guidata dal Procuratore Emanuele Crescenti, a carico dei soggetti in questione (uno dei quali ancora attivamente ricercato).

Il provvedimento restrittivo scaturisce da una complessa attività di indagine denominata “Hypnose”, sviluppata sin dal gennaio 2018 dai Carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto, coordinata dal sostituto Procuratore della Repubblica Rita Barbieri. Gli esiti delle indagini hanno consentito di documentare l’operatività di un gruppo di presunti rapinatori con base nella città di Palermo, che ha rapinato nell’arco di pochi mesi numerose vittime, perlopiù anziane, individuate e derubate nei pressi di luoghi di culto o di ritrovo. Le vittime, dopo essere state avvicinate dagli indagati col pretesto di una finta compravendita di gioielli, percepivano un intenso “profumo” che unito ad altre tecniche di manipolazione ipnotica attraverso le quali venivano indotte in stato confusionale, venendo così persuase a recarsi presso la propria abitazione o presso i propri istituti di credito al fine di procurarsi il denaro che consegnavano ai malfattori.

Le indagini. Le indagini – sviluppate attraverso l’acquisizione delle testimonianza delle vittime e delle persone informate sui fatti, l’esame delle riprese di sistemi di videosorveglianza e dei di tabulati telefonici – hanno consentito di giungere all’identificazione delle persone colpite dall’odierno provvedimento cautelare. Sia per i numerosi episodi che per il modo di agire è stato ritenuto configurare non una semplice truffa, ma il ben più grave reato di rapina.

Il modus operandi. I rapinatori, che agivano sempre in tre per volta, interpretavano una sceneggiatura ormai consolidata. Uno ricopriva il ruolo di marinaio straniero intenzionato a vendere gioielli, un secondo complice che fingeva di essere interessato all’acquisto ed il terzo infine quello di gioielliere in grado di valutare la merce e, talvolta intenzionato a sua volta a comprarla. La compravendita di gioielli era inscenata con lo scopo di coinvolgere la vittima.

In particolare, la vittima veniva avvicinata dal primo soggetto, che si presentava come un marinaio straniero in transito che doveva vendere dei gioielli per i quali in caso di mancata vendita avrebbe dovuto pagare delle pesanti tasse doganali. Nel frattempo, sopraggiungeva un secondo soggetto che si intrometteva volutamente nella discussione chiedendo al marinaio di mostrargli i gioielli, precisando, però, la necessità di procedere ad una valutazione della merce da parte di un esperto, ad esempio un gioielliere. Il finto acquirente, quindi, si allontanava temporaneamente e ritornava in compagnia di un altro complice che si presentava come gioielliere e valutava i preziosi.

Queste fasi, in genere, duravano anche fino a due ore, durante le quali la vittima e veniva fatta partecipe delle difficoltà del marinaio che avrebbe potuto subire un grave danno economico dalla mancata vendita o da quelle dell’ipotetico acquirente che non era in possesso di tutto il denaro necessario all’acquisto inoltre le vittime venivano blandite attraverso continue gestualità, abbracci, strette di mano al fine di creare un vincolo empatico. Inoltre in alcuni casi, attraverso questi contatti fisici, le vittime percepivano un profumo molto intenso, che provocava loro uno stato confusionale ed ipnotico. Al termine di queste lunghe manovre la volontà delle vittime veniva limitata e soggiogata. Pertanto, ritenevano di dare un contributo per l’acquisto dei gioielli ritenendo che consegnare il denaro fosse il giusto comportamento da tenere.

Le tecniche ipnotiche. La violenza posta in essere dagli indagati per compiere le rapine contestate è consistita pertanto nel procurare uno stato di incapacità di volere e di agire nella vittima, propedeutica alla realizzazione dell’azione predatoria. Ciò può avvenire attraverso l’utilizzo di particolari sostanze, ma anche attraverso l’utilizzo di tecniche specifiche che provochino l’alterazione della normale capacità di comprensione della realtà e, conseguentemente, della capacità di valutazione critica.

Tra queste, l’induzione ipnotica è caratterizzata da uno stato di trance, caratterizzato dallo spegnersi della coscienza razionale e delle facoltà cognitive: l’ipnotizzato sembra essere in comunicazione soltanto con l’ipnotista, seguendone così in maniera acritica ed automatica le suggestioni. Anche dopo il termine della trance il soggetto può essere in grado di compiere compiti che gli sono stati assegnati durante il periodo ipnotico senza neanche rendersene conto: lo stesso soggetto si stupisce spesso dell’azione che compie.

Va precisato che le persone offese dai reati investigati erano persone in pieno possesso delle proprie capacità di provvedere ai propri bisogni, di comprendere il significato delle proprie azioni e degli accadimenti del mondo esterno. Ciononostante tutte le vittime hanno evidenziato una singolare assenza di capacità critica accettando passivamente – secondo tutti i loro racconti autonomi tra loro eppure convergenti nel contenuto – le indicazioni e la richiesta di denaro anche per somme cospicue che gli sono state rivolte dai malfattori: una vera e propria scissione dalla realtà che non può che essere ricondotta ad un’azione che abbia provocato tale stato confusionale. Infatti, nessuno dei soggetti passivi si è posto minimamente il problema della corrispondenza al vero della vicenda narrata e della possibile falsità dei gioielli, elemento che appare davvero inusuale per vittime di diverse condizione sociale, età ed esperienza.

Le esigenze cautelari. Le indagini hanno svelato la concreta ed attuale pericolosità sociale degli indagati evincibile dalle modalità delle condotte e dalle concrete circostanze dei fatti, dalla frequenza degli episodi, nonché dalla personalità degli stessi soggetti coinvolti. Si tratta infatti di condotte che denotano una spiccata professionalità, una forte capacità di adattamento alle diverse situazioni, affrontate con una particolare metodicità e spregiudicatezza da lasciar ipotizzare una vera e propria struttura organizzativa.

Gli indagati, verosimilmente, vivono di questi espedienti e sono talmente spregiudicati da tornare più volte negli stessi luoghi, tanto che qualcuno è stato rivisto da alcune vittime nei giorni successivi. Si tratta, del resto, di soggetti che, oltre ad essere gravati da numerosi precedenti, risultano deferiti in stato di libertà in molte zone della Sicilia e d’Italia e sono stati tratti in arresto in diverse occasioni per fatti similari.

Casi più emblematici di rapine. Numerosi i reati ricostruiti tra cui se ne citano alcuni emblematici del modus operandi. Un uomo settantenne di Barcellona Pozzo di Gotto, avvicinato in via Roma, è stato posto in stato d’incapacità di volere e di agire mediante suggestione ipnotica e comunque tramite tecniche comunicative verbali e di gestualità tali da persuadere e manipolare la sua volontà, sino a farsi consegnare la somma di 3 mila euro; in particolare, uno degli indagati, nel ruolo di marinaio straniero intenzionato a vendere gioielli,Giuseppe Immesi, nel ruolo di possibile acquirente e un terzo soggetto (nel frattempo deceduto), nel ruolo di gioielliere, inscenavano una compravendita di gioielli nella quale coinvolgevano per diverso tempo la persona offesa sia verbalmente sia tramite ripetuti contatti fisici, tra i quali continue strette di mano, l’appoggiare più volte una busta contenente denaro sulla pancia e sul petto della stessa e nell’inserire nel taschino della sua camicia i finti gioielli. La vittima successivamente, ormai in stato confusionale, si recava presso la filiale della propria banca e, seguendo le istruzioni dei malviventi, prelevava la somma in contanti di 3 mila euro senza riferire al cassiere dell’istituto che, conoscendolo personalmente glielo aveva chiesto, il motivo del consistente prelievo e poco dopo consegnava il denaro ad Immesi davanti la porta della chiesa di San Sebastiano ricevendo in cambio un anello rivelatosi privo di alcun valore.

Un altro episodio riguarda una donna 45enne, sempre di Barcellona Pozzo di Gotto, alla quale gli indagati, mediante suggestione ipnotica e tramite tecniche comunicative verbali e di gestualità tali da persuadere e manipolare la persona offesa, hanno sottratto la somma di 3 mila euro.

In particolare, Giovanni Salafia, ricopriva il ruolo del marinaio straniero intenzionato a vendere gioielli, Michele Faija, il ruolo di interessato all’acquisto e Matteo Li Causi, quello di gioielliere ed inscenavano la compravendita di gioielli nella quale coinvolgevano, anche tramite continui abbracci la persona offesa, che dopo aver percepito un intenso profumo, in stato confusionale, si recava presso la propria abitazione e prelevava in contanti la somma di 3 mila euro che poi consegnava a Michele Faija all’interno della chiesa di San Sebastiano.

Gli arrestati. I Carabinieri del Comando Provinciale di Messina hanno eseguito 5 provvedimenti a carico dei sottonotati indagati:
Giovanni Salafia, 27 enne, di Palermo;
Michele Faija, 59enne, di Cinisi (PA);
Gaetano Talamanca, 51enne, di Palermo;
Matteo Li Causi, 49enne, della Provincia di Bergamo;
Giuseppe Immesi, 68enne, di Palermo.
Il sesto indagato è tutt’ora ricercato.