Querelle tra Ordine degli Ingegneri e Genio Civile, “Messina città celata”

Redazione1

Querelle tra Ordine degli Ingegneri e Genio Civile, “Messina città celata”

lunedì 02 Ottobre 2017 - 15:41

Messina è una città “celata”: a una struttura urbanistica semplice, elegante ed abbellita da edifici di pregio, fa riscontro una città “aumentata” e involgarita. Protesa verso l’alto a sfidare la capacità portante di edifici e invasiva nello spazio, con la pretesa di rubare ogni angolo utile a una morfologia “pericolosa”, costituita da terreni per lo più poco coesi ed attraversata da una quantità di corsi d’acqua. Chiunque abbia un minimo di attenzione per il paesaggio urbano, difficilmente passa per Messina, senza portarsi dietro un senso di disagio, legato al fatto che, a meno di essere un fine urbanista, continuerà a domandarsi cosa c’è che non quadra. A specificarlo è il documento di CapitaleMessina che entra in merito alla polemica tra Ordine degli Ingegneri e Genio Civile.

La città nel passato ha subìto un vero e proprio “sacco” edilizio, conseguenza dell’abbattimento di qualsiasi regola ed oggi, passeggiando, vediamo edifici incredibilmente superfetati, con una, due e talvolta tre sopraelevazioni e agglomerati letteralmente arrampicati sulla collina, alla quale sono tenuti stretti da muraglioni assolutamente poco rassicuranti; in alternativa, spuntano qua e la raggruppamenti di palazzi che risultano essere raggiungibili pericolosamente attraverso improbabili trazzere o aste torrentizie.

A queste strutture, già di per sé problematiche, che ci sono state consegnate da un passato poco attento, se ne aggiungono delle altre, sorprendentemente più recenti, immediatamente a ridosso dei tratti terminali dei corsi d’acqua, fortemente esposte agli alluvionamenti o sulla potenziale traiettoria di scoscendimento di colate che, come abbiamo osservato nel passato, si attivano in modo assolutamente random al di sopra di una soglia di precipitazioni, difficilmente prevedibili in modo assoluto.

Come se non bastasse, seguendo una “brutta” moda che interessa tante città soprattutto del meridione, è evidente la corsa a trasformare in coperte e chiuse tutte le superfici balconate e terrazzate disponibili, impoverendo gli edifici dal punto di vista estetico ed esponendo residenti e passanti a importanti rischi in quei giorni ventosi che sullo Stretto non mancano.

Alla luce di queste preoccupanti considerazioni, la polemica tra Genio Civile e Ordine degli Ingegneri appare onestamente incomprensibile. Entrambi hanno il dovere di marciare, in direzione univoca, per raggiungere l’obiettivo della sicurezza intrinseca dei beni esposti.

Alla mitigazione del pericolo in prima battuta deve provvedere la Regione che deve operare, invertendo l’attuale logica dei piani regionali di contrasto al dissesto idrogeologico (frane, alluvioni ed erosione coste), che da statici e puntuali devono trasformarsi in dinamici, implementabili e territoriali, magari utilizzando tutte le migliori sinergie con le università e con gli enti di ricerca, sfruttando fino all’ultimo centesimo la disponibilità dei Fondi Europei a questi fini predisposti.

A livello locale, questo obiettivo può essere consolidato e reso definitivo, mettendo una reale moratoria alla costruzione di nuovi volumi residenziali in aree extra-urbane, e investendo, senza indugi, sulla messa in sicurezza dell’esistente, ricordandoci che questa non può passare per una pioggia di mega finanziamenti, in questo o quel torrente, lungo un versante o un breve tratto di costa, senza che si sia programmato un piano d’azione complessivo e soprattutto averne assorbito la filosofia di fondo che deve essere improntata al rispetto dell’ambiente, al raggiungimento della massima resilienza possibile e intervenendo eventualmente anche con azioni di delocalizzazione dell’esistente.

Il principio ultimo deve essere sempre la sicurezza intrinseca dei cittadini che deve essere perseguita con la ricerca di una maggiore naturalità dell’intero sistema, evitando di appesantire ulteriormente il sistema costruito e cercando di restituire ai processi territoriali la propria naturale dinamica.

Foto Rocco Papandrea